La storia del riso in Italia
L’avvento del riso in Italia resta avvolto nel mistero, ancora infatti non sappiamo come sia giunto fino a noi.
Si dice che il suo approdo in Italia sia dovuto all’invasione della Sicilia e della Calabria da parte degli Arabi intorno al 500 D.C. Altri studiosi sostengono che abbia avuto origine nel Napoletano con l’occupazione degli Aragonesi. Nell’Italia settentrionale la coltivazione del riso potrebbe essere stata introdotta in seguito alle battaglie dei soldati di Carlo Magno contro gli Arabi, oppure grazie ai commerci delle Repubbliche Marinare. Nella fase iniziale del Medioevo, il riso viene considerato una spezia e per questo è venduto insieme ai prodotti esotici di importazione. Successivamente inizia a essere utilizzato in modo diverso, come alimento per dolci; sempre in questo periodo cominciano le prime coltivazioni risicole negli orti botanici degli Ordini Monastici.
A causa delle violente epidemie, guerre e carestie che affliggono l’Italia nel periodo medioevale, il consumo alimentare del riso vede la sua affermazione: si rivela infatti un cereale produttivo in grado di sfamare molte persone.
Alla fine del 1400 la coltivazione risicola inizia a diffondersi notevolmente nell’Italia settentrionale, più precisamente in Lombardia e in Piemonte nella zona di Vercelli, dove sorgono le prime risaie che sfruttano le frequenti inondazioni del Po, volute da Ludovico il Moro e dal fratello Gian Galeazzo Sforza
Nel Cinquecento il riso acquisisce l’immagine di alimento povero: viene considerato un’ottima soluzione alimentare per placare la fame contadina e indurre un senso di sazietà. Proprio per questo non riesce a farsi ancora strada sulle tavole del ceto abbiente e nei ricettari delle corti di quell’epoca.
Dopo un periodo di voci allarmistiche che additavano il riso come diffusore della malaria, dal 1700 torna alla ribalta come risposta alle difficoltà alimentari del popolo, raggiungendo così una stabilità di coltivazione e produzione. Da sempre Il riso ci dimostra la sua grande versatilità e la sua capacità di rinnovarsi in ogni epoca, accompagnandoci quotidianamente nella nostra cultura culinaria.
Le varietà
Impariamo a conoscere e riconoscere il riso italiano!
Davanti allo scaffale del punto vendita siamo spesso disorientati dalle tante varietà di riso che lo affollano. Il Decreto legislativo 131 del 4 agosto 2017 ha fatto chiarezza sulla materia per aiutarci a scegliere in modo consapevole il prodotto ideale per le nostre ricette.
Le oltre 200 varietà di riso disponibili in Italia, in accordo con la nuova legge, possono essere classificate in tre tipologie:
- Tradizionali
- Classiche
- Generiche.
Come distinguiamo le diverse tipologie di riso?
Basta guardare sulla confezione e leggere la denominazione del riso sull’etichetta.
Quali sono le “Varietà tradizionali” di riso?
- Carnaroli
- Arborio
- Roma
- Baldo
- Vialone nano
- S. Andrea
- Ribe.
Rappresentano l’eccellenza storica della produzione risicola italiana.
Esprimono la specificità del paesaggio, dell’ambiente e della cultura del nostro territorio.
Assicurano un’ottima riuscita dei piatti della nostra tradizione.
Si distinguono per le caratteristiche del granello di riso, come consistenza e perla.
Teniamo presente che possono fregiarsi della denominazione “varietà tradizionale” anche quelle varietà che presentano le stesse caratteristiche in termini di dimensioni, consistenza e perla del granello, delle varietà capostipite.
Quali sono le “Varietà classiche” di riso?
- Carnaroli classico
- Arborio classico
- Roma classico
- Baldo classico
- Vialone nano classico
- S. Andrea classico
- Ribe classico.
Solo il capostipite della “varietà tradizionale” può dirsi “classico”: un’ulteriore garanzia di qualità quando scegliamo il nostro riso!
Le “varietà tradizionali” di riso possono infatti essere affiancate dalla denominazione “classico” solo se viene garantita la loro tracciabilità dal momento della semina fino a quando vengono immessi al consumo.
Quali sono le denominazioni “generiche” di riso?
Sono tutte le varietà di riso che NON appartengono a una delle sette “varietà tradizionali”.
Per riconoscerle, sulla confezione troveremo una di queste quattro denominazioni “generiche”:
- Riso Tondo, lungo fino a 5,2 mm e con un rapporto lunghezza/larghezza fino a 2
- Riso Medio, lungo oltre 5,2 e fino a 6 mm e con un rapporto lunghezza/larghezza inferiore a 3
- Riso Lungo A, lungo oltre 6 mm e con un rapporto lunghezza/larghezza da 2 a 3
- Riso Lungo B, lungo oltre 6 mm e con un rapporto lunghezza/larghezza oltre 3.
Alla denominazione generica possiamo trovare affiancato il nome della varietà.
DOP e IGP delle varietà di riso italiane
L’eccellenza italiana nel nostro settore risicolo viene confermata anche dall’alto numero di varietà a marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOP (Denominazione di Origine Protetta), le ormai note certificazioni di origine comunitaria che identificano i prodotti agricoli ed alimentari di particolare pregio e qualità. Si tratta dei risi DOP della Baraggia Biellese e Vercellese (Arborio, Baldo, Balilla, Carnaroli, S. Andrea, Loto, Gladio) e delle IGP del Riso Nano Vialone Veronese e il Riso del Delta del Po (Arborio, Baldo, Carnaroli, Volano. Per la campagna di commercializzazione 2020/2021 sono disponibili anche le seguenti varietà: Cammeo, Caravaggio, Karnak, Keope e Telemaco). Grazie ai metodi di coltivazione e di lavorazione, e al contesto geografico da cui traggono origine, questi prodotti offrono ulteriori garanzie ai consumatori in termini di qualità e genuinità.
La Baraggia è una zona prealpina a nord di Vercelli, caratterizzata da temperature spesso rigide. È stato proprio il clima a portare la Commissione europea ad esprimersi in modo particolarmente positivo sul prodotto. Sono stati in particolare valutati molto bene l’eccezionale specificità della zona di produzione: geologia, morfologia, pedologia, climatologia, idrologia, storia, sociologia, cultura e habitat e le peculiarità del riso di Baraggia Biellese e Vercellese. Grazie alle caratteristiche della zona di produzione, il riso ottenuto presenta caratteristiche uniche: un’ottima tenuta alla cottura, rese più basse e un ciclo vegetativo più lungo. Le varietà di riso che crescono qui sono più piccole rispetto a quelle coltivate in altre parti d’Italia; altro aspetto che le contraddistingue: la collosità.
Il risone destinato alla produzione del riso IGP ” Nano Vialone Veronese” deve essere prodotto sui terreni della pianura veronese che si prestano alle operazioni di irrigazione necessarie per la coltivazione. Una zona che comprende i seguenti comuni: Bovolone, Buttapietra, Casaleone, Cerea, Concamarise, Erbè, Gazzo Veronese, Isola della Scala, Isola Rizza, Mozzecane, Nogara, Nogarole Rocca, Oppeano, Palù, Povegliano Veronese, Ronco all’Adige, Roverchiara, Salizzole, Sanguinetto, San Pietro di Morubio, Sorgà, Trevenzuolo, Vigasio, Zevio.
L’area tipica che consente di ottenere il «Riso del Delta del Po» si estende sul cono orientale estremo della pianura padana, fra la regione Veneto e l’Emilia Romagna. Una zona caratterizzata da un terreno molto ricco di sostanze nutritive, che si traducono in un contenuto proteico nella pianta di riso particolarmente generoso. Le varietà che possono fregiarsi del marchio IGP presentano inoltre valori tipici di collosità regolamentati dal disciplinare.
L’Ente Nazionale Risi è l’Organismo di controllo incaricato di verificare il rispetto dei requisiti riportati nei singoli disciplinari.
La risaia e il suo ecosistema
La risaia è un campo agricolo particolare, diverso dagli altri: è ricco di natura e l’acqua è la sua linfa vitale. Le risaie vengono infatti impiantate vicino ai fiumi o canali in modo da garantire al riso tutta l’acqua per crescere nelle migliori condizioni ambientali e protetto dagli sbalzi di temperatura. L’acqua entra nel sistema, allaga le risaie e poi, quando il riso comincia a maturare, ritorna nei canali e nei fiumi da dove è venuta.
Il riso italiano è amico dell’ambiente: le risaie sono dei veri e propri ecosistemi che rappresentano un perfetto esempio di “addomesticamento del territorio” operato dall’uomo per fini produttivi. Più poeticamente, la risaia è la sentinella che sorveglia il territorio e che ne custodisce la ricchezza paesaggistica.
Parola d’ordine: biodiversità
Nelle risaie la natura si anima sotto forme diverse: la flora è costituita dal verde delle piantine sommerse e dai filari degli alberi ai bordi dei campi, il cui ordine comunica con forza l’armonia presente nell’ambiente.
I campi di riso sono inoltre l’habitat perfetto per numerose specie di animali e vegetali, come ad esempio alghe, piante, pesci, anfibi, rettili, molluschi, crostacei, vermi e insetti.
Tra le specie di insetti, ci sono le ipnotiche libellule e le più fastidiose zanzare, appetitose prede per l’alimentazione degli anfibi tipici di questo ambiente acquatico, fra cui la rana verde e il rospo smeraldino.
Anche l’avifauna anima la vita della risaia, possiamo infatti trovare la gallinella d’acqua, l’airone cenerino, la cicogna bianca insieme a tante altre specie. Infine, nelle risaie si possono incontrare alcuni mammiferi come la volpe, il tasso, il topolino delle risaie e la nutria, non di certo famosa per la sua bellezza.
La lavorazione del riso
Quando abbiamo di fronte un appetitoso piatto di risotto al ristorante o nella cucina di casa, dobbiamo sapere che, prima di arrivare sulle nostre tavole, ha affrontato un lungo viaggio durante il quale ha perfezionato e ampliato le sue qualità.
Viene seminato in primavera, matura durante i mesi estivi e viene raccolto nella stagione autunnale sotto forma di risone. Quest’ultimo, una volta raccolto dalle risaie, viene essiccato e tenuto in condizioni di umidità stabile. Dopodiché viene immagazzinato nei silos e, giunto in riseria, viene sottoposto a un processo di lavorazione e di raffinazione.
In riseria la tecnologia si fonde con la tradizione: la lavorazione del riso inizia con il processo di sbramatura attraverso lo “Sbramino” o “Sgusciatore” che si occupa di togliere la parte più esterna del riso, ovvero la lolla. Dopodiché si passa al “Paddy”, una macchina che nasce nei primi del 900 e che non ha ancora trovato una “sostituta” più moderna. Dato che il riso sbramato contiene ancora chicchi non sgusciati, il Paddy separa il risone dal riso semigreggio (privo degli strati più esterni).
Si arriva poi al processo di sbiancatura del riso che avviene tramite le macchine “Amburgo”, nate intorno al 1920 in Germania. All’interno è presente una pietra conica con diversi freni posti all’esterno: i chicchi sfregano contro la pietra e la pula (la pellicina più esterna del chicco) viene grattata via. Possono essere impiegate una o più macchine in base alla varietà del riso e alla sua delicatezza.
È ora il momento della selezionatrice ottica, la macchina tecnologicamente più avanzata della riseria, in grado di riconoscere le tonalità di colore e individuare le macchie dei chicchi di riso. Tramite un soffio preciso scarta tutti i chicchi che presentano queste imperfezioni cromatiche. Per determinare la percentuale di riso bianco si esegue la prova di resa. Per concludere, vi sveliamo un segreto: per ottenere un ottimo prodotto finale bisogna utilizzare un’eccellente materia prima.
La coltivazione del riso
La risaia è un campo agricolo in continuo mutamento che ci offre sempre nuovi scenari a seconda delle esigenze agronomiche e degli obiettivi produttivi. Per comprendere tutti i suoi cambiamenti, è necessario quindi conoscere il processo di coltivazione del riso.
Il primo passo è l’aratura: le condizioni delle risaie non sono sempre favorevoli allo sviluppo delle radici, per questo è utile modificare la struttura delle zolle per dare maggiore ossigeno al terreno. L’aratura avviene a fine inverno e può essere diversa in base alla tipologia di terreno. A marzo, per rendere il terreno fertile, viene eseguita la concimazione. Quindi arriva il momento di svolgere l’erpicatura; non preoccupatevi, non è uno scioglilingua, consiste nella preparazione di un letto di semina piano per agevolare l’irrigazione. E ora il riso può essere seminato!
Sempre in questo periodo, per proteggere il seme dagli sbalzi termici viene attuata la sommersione: la risaia viene riempita d’acqua, nella quale il seme di riso rimane immerso per otto giorni; viene poi effettuata l’asciutta di radicamento, utile a potenziare le radici e migliorare così la nutrizione della pianta.
Si procede poi con il controllo delle piante infestanti, il cosiddetto diserbo e successivamente, dopo – circa 90 giorni dalla semina –, avviene la fioritura. La maturazione del riso è diversa a seconda delle varietà: scegliere il giusto momento per il taglio è dunque di vitale importanza. Una volta maturo, il riso viene raccolto sotto forma di risone. Nella maggior parte dei casi, le operazioni di raccolta sono svolte nei mesi di settembre e ottobre.
Infine il riso viene essiccato e, in fase di stoccaggio, viene conservato in magazzino, dove continua a maturare: il riso “stagionato” tiene infatti maggiormente la cottura rispetto a quello “novello”.
L’Italia del riso: i territori
Sapete che la risicoltura ha sempre avuto una grande importanza nel nostro Paese? Ebbene sì, può contare su un patrimonio storico e culturale di ben 500 anni, da quando si hanno notizie certe della sua stabile coltivazione in Pianura Padana.
La coltivazione si sviluppa principalmente nella zona settentrionale che segue il corso del fiume Po: in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e in Lombardia, ormai ampiamente riconosciuta come “La culla del riso”. Le risaie italiane sono quelle più a nord di tutto il mondo e il ruolo dell’acqua è vitale per il loro funzionamento.
Durante la primavera nelle nostre campagne si può ammirare uno spettacolo unico, il cosiddetto “Mare a quadretti” della Pianura: la sommersione delle risaie le trasforma infatti in un enorme “puzzle acquatico” che si estende per chilometri e chilometri.
Le risaie non punteggiano solo il Nord Italia, ma contraddistinguono anche altri territori. Non tutti ad esempio sanno che grazie al clima e alle condizioni ambientali estremamente favorevoli, il nostro cereale preferito viene coltivato anche nella Maremma Toscana.
In Calabria sono invece presenti seicento ettari di risaie che si estendono tra i comuni di Cassano allo Ionio e Corigliano. Il prodotto più celebre è il riso di Sibari, coltivato nell’omonima Piana e destinato principalmente al mercato locale.
Non è da meno anche la Sicilia: nella Piana di Catania e nell’entroterra ennese, grazie all’impegno e alla passione di alcuni agricoltori, è stata di recente ripresa la coltivazione, una produzione che risultava ormai abbandonata da secoli.
Di particolare importanza sono poi le coltivazioni risicole sarde che occupano circa 3.500 ettari e sono situate tra le provincie di Cagliari e Oristano. In questa regione, la produzione risicola è di altissima qualità: il riso sardo è infatti considerato fra i migliori al mondo.
Il marchio RISO ITALIANO
L’Ente Nazionale Risi ha registrato un marchio avente la funzione e lo scopo di garantire l’origine, la natura e la qualità del riso commercializzato dagli operatori italiani.
L’utilizzo di detto marchio da parte degli operatori è gratuito e prevede unicamente controlli da parte dell’Ente sul prodotto.